Con la pandemia da Covid-19 molti hanno lavorato da remoto. Ma gli studi rilevano che a dispetto dell’opinione dei top manager lo smart working non tramonterà con la fine dell’emergenza sanitaria
Nel 2020, fra le parole più cercate dagli italiani su Google, insieme a DPCM, RSA e SPID, c’era anche il termine smart working. Nella prima fase della pandemia da Covid, sono stati adottati provvedimenti emergenziali per favorire questa modalità di lavoro anche in contesti poco recettivi alle attività da remoto.
A distanza di un anno, l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano ha fotografato lo stato attuale del fenomeno in Italia, segnalando la diminuzione progressiva del numero di smart worker con l’avanzamento della campagna vaccinale. Sono passati da essere 5,37 milioni nel primo trimestre dell’anno a 4,07 milioni nel terzo. Questo vuol dire che il lavoro agile è sulla via del tramonto? Tutto il contrario: secondo l’Osservatorio al termine dell’epidemia da Covid vi sarà un aumento degli smart worker, fino a toccare i 4,38 milioni. “La pandemia ha accelerato l’evoluzione dei modelli di lavoro verso forme di organizzazione più flessibili e intelligenti. [..]. Ora è necessario costruire il futuro del lavoro sul vero Smart Working, […] proponendo ai lavoratori una maggiore autonomia e responsabilizzazione sui risultati”, ha dichiarato nella nota stampa Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio, osservando come molte organizzazioni, soprattutto PMI, stiano tornando al lavoro in presenza per motivi strutturali e culturali.
Intanto le grandi aziende optano per modelli misti. Microsoft Italia, riaperte le proprie sedi, ha deciso di integrare lo smart working con il lavoro in presenza. IBM Italia ha sottoscritto coi sindacati un nuovo accordo che consente a ogni dipendente di lavorare da remoto per tre giorni alla settimana. Modalità ibrida anche per Ericsson e F-Secure.
Il 2021 Global Workplace Report parla chiaro: sul futuro del lavoro top manager e dipendenti non la pensano nello stesso modo. La ricerca di NTT, evidenzia i diversi punti di vista.
In media, i manager di alto livello, rispetto ai propri sottoposti, hanno 20 punti percentuali in più di probabilità di credere che la propria organizzazione aziendale sappia gestire in modo efficiente il tempo sul lavoro e ben 28 punti in più di ritenere che siano capaci nel prevenire il burnout. In termini di soddisfazione dell’esperienza dei dipendenti, sono ben 41 punti che dividono la percezione, estremamente ottimista, dei manager dagli impiegati senza funzioni gestionali. Emerge chiara una generalizzata sfiducia da parte della popolazione aziendale: solo il 38% ritiene che il proprio datore di lavoro tenga realmente in considerazione il suo stato di salute e il suo benessere. Una piccola minoranza, che si attesta intorno al 23%, dichiara di essere molto felice di lavorare per il proprio titolare.
Secondo la ricerca, a dividere la compagine aziendale è anche una diversa attitudine verso le diverse modalità di lavoro. I dipendenti, intervistati sulla loro preferenza tra smart working, lavoro ibrido e in presenza, hanno risposto in maniera tendenzialmente uniforme sulle tre opzioni, ovvero rispettivamente al 30%, 30% e 39%. Mentre il 79% dei manager è certo che le proprie risorse prediligano lavorare in ufficio.
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